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L'acqua di Coreno
“Dal muretto ove siamo seduti, le cisterne sotto sembrano tombe. Una specie di cimitero arabo,
perché appunto con mucchi di pietre gli arabi indicano sul terreno il posto in cui seppelliscono.
Ma vi sono alberi di acacia a ingentilire il luogo e i ragazzi giocano nel breve spazio che le raccoglie.
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Finché arrivano donne e pare che rechino offerte: una infila la mano nel seno e caccia una chiave,
si china sulla lastra di ferro che chiude sopra il tumulo, ne fa scattare il lucchetto, la solleva,
sale sul rialzo. Un’altra donna le passa un secchio legato a una fune e lei lo cala dentro.
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Si sente l’urto contro l’acqua, i ragazzi accorrono e a turno si dissetano bevendo dal secchio
tirato su colmo, a grandi bracciate, dalla padrona che poi comincia a riempire le conche, i vasi,
i mastelli, i barili posati attorno a lei. Le donne discorrono quietamente; son sicure della propria razione.
Ha piovuto molto nei giorni passati e i pozzi sono pieni. Tuttavia mai restano aperti; alcuni sono padronali,
altri del municipio e le chiavi di questi custodite dalla guardia comunale.”
(Dante Troisi, L’acqua di Coreno in La Serra, anno I, n. 7-8, luglio-agosto 1961, pag.3) |
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